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Progetto Chain

Stella è nata in Nigeria, ha 51 anni, da 26 anni vive a Milano e ha 3 figli: 2 maschi e una femmina.

Ha svolto numerosi lavori, da interprete a mediatrice culturale. Dal 2016 ha iniziato un percorso di formazione con noi di ActionAid sulle mutilazioni genitali femminili. Oggi è community trainer per la comunità nigeriana nel progetto CHAIN, che combatte e previene le mutilazioni genitali femminili (MGF) e i matrimoni precoci e forzati.

“Seguo questo tema da quando sono in Italia, perché nel nostro Paese non ci si fa caso, nessuno parla di questo perché fa parte della tradizione dell’usanza. Solitamente non si può parlare del corpo di una donna come si fa qui in Occidente. È una cosa che si classifica come un taboo. Tutti lo sanno ma non se ne parla.

In Nigeria è una pratica che si fa alla nascita, dopo 8 giorni dalla nascita di un bambina, quindi non si sa se ti è stata fatta”.

La percentuale di bambine che vi era sottoposte nel paese era altissima, in alcune comunità fino a rasentare il 100%. La situazione sta migliorando negli ultimi anni, dopo l’approvazione di una legge che vieta queste pratiche.

È una violenza atroce contro una bambina e viene fatta quando la bambina non sa nulla e diventa una portatrice di una pratica per me molto forte, orrenda. Ho cominciato a pensare che non va bene farla e mia figlia, infatti, non vi è stata sottoposta. Solo che quando si è in Nigeria, all’interno di una famiglia, è difficile andare contro le credenze popolari, mentre se siamo qui all’estero senza l’influenza della famiglia si è più liberi. Ecco perché spesso aiuto anche tante donne a ragionare a vedere le cose negative di questa pratica”.

Stella, con cui collaboriamo, adesso è un punto di riferimento per la comunità nigeriana a Milano. Anche in Europa è infatti fondamentale portare avanti il contrasto a queste pratiche tra le comunità originarie di paesi a tradizione mutilatoria.

“Una volta ho chiesto a mia mamma perché si praticano le FGM. E lei mi ha dato come primo motivo quello di aiutare la donna durante il parto a far uscire il bimbo. Poi c’è la questione dell’appartenenza, tra la comunità degli Edo vengono praticate per far capire che la ragazza viene da una famiglia rispettosa, che sarà una ragazza brava, che non sarà una poco di buono quando crescerà. Io ero perplessa quando me lo ha spiegato e le ho risposto: ‘mamma cosa vuol dire questo che una donna non deve avere lo stesso appetito sessuale di un uomo?’ E lei mi ha risposto che così ci hanno insegnato e così abbiamo fatto. E io le ho detto: ‘è sbagliato!’

È importante parlarne, l’informazione è poca. Bisogna far capire che quando una donna subisce questa pratica ci possono essere delle conseguenze gravi, se non nell’immediato, anche in futuro. Bisogna coinvolgere i genitori e spiegare loro che anche se loro hanno subito questa pratica, non devono permettere che anche i loro figli la subiscano. Non è vero che essere mutilate ai genitali aiuti le donne a partorire. Si tratta solo di un modo per controllare il corpo di una donna, il suo appetito sessuale. Non va bene, è una cosa cattiva che non deve essere fatta”.

Stella è diventata un punto di riferimento sul tema per la sua comunità. Il suo lavoro è prezioso perché permette di condividere informazioni corrette sulla salute sessuale e riproduttiva, parlandone con le coppie e la comunità tutta.

La conoscenza è l’arma migliore nella lotta alle mutilazioni genitali femminili, ricordando che sono una delle più gravi violazioni dei diritti delle donne.

Per saperne di più sul progetto Chain.