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Ecco perché serve redistribuire il potere nelle politiche di adattamento 

In questi giorni stiamo vivendo sulla nostra pelle gli effetti della crisi climatica, l’Italia è divisa in due tra caldo estremo e piogge intense. Con il Mediterraneo che tocca temperature marine record fino a +5 °C sopra la media stagionale, città come Milano, Bologna e Brescia fanno i conti con le ondate di calore. Dopo un solo anno dallo stesso avvenimento, in Valle d’Aosta Cogne è rimasta isolata per delle frane e in Piemonte, a Bardonecchia, il torrente Frejus è esondato in pieno centro trascinando fango e detriti.  Il diritto alla vita però continua a essere minacciato e nel nostro Paese solo nell’ultima settimana sono stati dichiarati quattro morti per il caldo estremo e due causati dalla forza dell’acqua.  

Non è un caso, sono gli aspetti più visibili della crisi climatica. Secondo quanto affermato nell’European Climate Risk Assessment dell’Agenzia europea dell’ambiente, “L’Europa è il continente che si sta riscaldando più rapidamente, dagli anni ’80 l’aumento delle temperature medie nel continente è stato circa il doppio della media globale” e in particolare l’Italia, collocata in un’area riconosciuta come hot-spot climatico nel bacino del Mediterraneo, ne subisce già oggi effetti  sempre più rilevanti  – tra eventi estremi, degrado ambientale e pressione crescente sulle risorse naturali.  

Di fronte a tutto ciò adattarsi diventa un imperativo non più prorogabile. Per questo il paradigma dell’adattamento deve essere portato al centro del dibattito pubblico e diventare sia una prerogativa politica ma ancor prima una priorità culturale; un obbligo, quello di investire e attuare misure di adattamento ai cambiamenti climatici, che non replichi o acuisca disuguaglianze preesistenti. 

Se ne sente parlare poco ma le azioni per l’adattamento sono quell’insieme di politiche e misure che possono fronteggiare il cambiamento climatico; cercano di ridurre ed evitare i danni o di sfruttare le opportunità derivanti dallo stesso cambiamento climatico. Se le azioni di mitigazione cercano di ridurre le emissioni di gas serra agendo sulle cause, l’adattamento interviene sugli effetti. Entrambe andrebbero viste come complementari, trascurare una delle due significherebbe ignorare la complessità della crisi climatica e non trovare soluzioni efficaci. 

Il cambiamento climatico rappresenta una delle attuali sfide più complesse e urgenti. Lungi dall’essere un fenomeno meramente ambientale, si manifesta come una crisi sistemica che interseca dimensioni ecologiche, economiche, sociali e politiche. Riconoscerne la complessità, significa anche attribuire ruoli e responsabilità. Le persone e le comunità che contribuiscono meno al riscaldamento globale sono oggi quelle che ne pagano il prezzo più alto, spesso senza avere voce nei processi decisionali e senza accesso alle risorse per la loro sicurezza, protezione e benessere. Questa asimmetria strutturale produce divari di capacità di risposta e di impatto, determinando il carattere profondamente diseguale della crisi climatica. 

Come dobbiamo adattarci alla crisi climatica?   | ActionaAid

Provincia di Varese, Parco regionale Campo dei Fiori, Lombardia.

È a partire da questa consapevolezza che noi di ActionAid  abbiamo voluto indagare attraverso un lavoro di ricerca il “coinvolgimento delle comunità in condizioni di fragilità e marginalità nelle politiche di adattamento al cambiamento climatico”, promossa nell’ambito del progetto “Inclusion for a fair transition” grazie al finanziamento di European Climate Foundation. 

La ricerca si innesta sulla raccolta di voci, esperienze e testimonianze spesso inascoltate partendo dall’assunto che solo attraverso il loro ascolto sia possibile orientare strategie e azioni efficaci. Grazie alla ricerca abbiamo analizzato come le disuguaglianze sociali, economiche e territoriali influenzino l’esposizione e la capacità di risposta agli effetti del cambiamento climatico e quanto alcune persone in condizioni di vulnerabilità siano spesso escluse da strategie e azioni per il clima.  

L’indagine ha evidenziato come i divari territoriali già presenti in Italia, si sovrappongano ai rischi innescati dalla crisi climatica: aree segnate da fattori cronici, fragilità strutturali, nulla o esigua capacità di attrarre fondi pubblici, con minore competenza amministrativa, subiscono gli effetti più gravi aumentando le disuguaglianze preesistenti. Inoltre, il lavoro di ricerca ha messo in luce quanto le persone e le comunità colpite dalla crisi climatica rischino di rimanere invisibili per l’assenza di dati disaggregati e strumenti analitici capaci di restituire la complessità della crisi. 

In Italia uno dei principali strumenti per orientare l’azione climatica, attraverso un quadro di indirizzo, è il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC), approvato il 21 dicembre 2023.   Il Piano, tuttavia, è apparso fin da subito troppo generico e poco efficace; dopo oltre un anno ancora non ha ricevuto una adeguata copertura finanziaria e non sono stati istituiti quegli organi che dovrebbero attuarlo. 

Manca inoltre una lettura multidimensionale delle condizioni di vulnerabilità.  Inoltre, anche se contiene indicazioni sull’importanza della partecipazione – un elemento essenziale per dar voce alle comunità – queste risultano generiche e poco strutturate, mentre invece potrebbero garantire lo sviluppo di politiche climatiche più efficaci e coerenti con le reali esigenze dei territori e delle persone. 

Come dobbiamo adattarci alla crisi climatica?   | ActionaAid

Mostra del 24 maggio 2025 per commemorare l’alluvione in Romagna del 2023 nell’ambito del progetto Col.M.A.Te. promosso da Forlì Città Aperta.

Per noi di ActionAid la partecipazione ai processi decisionali è una leva di equità ed efficacia: se le comunità più esposte non vengono ascoltate e coinvolte, le misure di adattamento rischiano di ignorare i bisogni fondamentali, di inasprire le disuguaglianze esistenti e perdere di legittimità sociale.  

In questo scenario, il principio della “giustizia climatica” – con le sue dimensioni distributiva, procedurale e generazionale – non è solo un obiettivo etico, ma una necessità politica. In quest’ottica risulta necessario incorporare sin dall’inizio una prospettiva intersezionale, che riconosca le differenti condizioni di vulnerabilità e le molteplici forme di oppressione. Affrontare il cambiamento climatico in modo giusto implica, dunque, riconoscere che le situazioni di fragilità non sono uniformi e che occorre evitare di perpetrare circoli viziosi per cui le persone con minore accesso ai diritti vengono escluse dai processi decisionali, e la crisi climatica allontana le progressivamente dal godimento di quegli stessi diritti. 

Con il progetto di ricerca AI4Deliberation, finanziato dal programma europeo Horizon Europe, stiamo lavorando con un consorzio di altri 12 partner per lo sviluppo di una piattaforma online basata sull’Intelligenza Artificiale, il cui scopo è facilitare processi deliberativi digitali, su larga scala, multimodali e gamificati. 

La piattaforma verrà configurata come uno spazio digitale immersivo con funzionalità audio-video e integrazioni IA che possano supportare tutte le fasi di un processo partecipativo, permettendone così l’adozione istituzionale, l’attuazione e la valutazione. Nel corso del 2026 questa piattaforma verrà testata in un caso d’uso sul PNACC.    

Il caso d’uso rientra nella direzione verso cui dovrebbe orientarsi la transizione giusta: un processo collettivo che valorizzi i saperi locali, rafforzi lo scambio tra istituzioni e cittadinanza e promuova forme di governance più democratiche, attraverso la redistribuzione del potere decisionale. 

Le politiche pubbliche devono creare le condizioni abilitanti per questi processi, sostenendoli con risorse, strumenti e spazi decisionali. Una transizione equa è possibile solo se è anche partecipata e condivisa. 

Photocredit social: Claudia Greco/Reuters
Rainer Maria Baratti
Collaboratore Programma Risk Management Unità Resilience

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