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Luca De Fraia

9 Ottobre 2018

Il nostro commento sulle proiezioni APS/PNL contenute nella nota del Documento di Economia e Finanza.

Nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) 2018 approvata dal Consiglio dei Ministri, si afferma che nel 2017, con tre anni di anticipo rispetto alla scadenza prevista, l’Italia ha raggiunto l’obiettivo 0.30% della quota di aiuto pubblico allo sviluppo (APS) in rapporto al Reddito Nazionale Lordo (RNL). Non solo, il Governo conferma anche per i prossimi tre anni la crescita dei volumi impegnati in cooperazione allo sviluppo, proponendo una nuova roadmap per il 2019-2021 che prevede un rapporto APS/RNL dello 0,33% nel 2019, dello 0,36% nel 2020 e, infine, dello 0,40%  nel 2021.

Come dobbiamo leggere questi dati? Sicuramente la conferma di un trend di crescita è positiva. Tuttavia, alcune precisazioni sono necessarie.

In primo luogo, dei 5,1 miliardi di euro che l’Italia ha destinato alla cooperazione allo sviluppo nel 2017, quasi un terzo è rappresentato da risorse che non hanno mai lasciato il Paese. Infatti, gli standard internazionali stabiliti in ambito OCSE/DAC prevedono la possibilità di contabilizzare come APS una quota della spesa in accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Questa cifra è passata dal 9% dell’APS complessivo nel 2012 al 31,4% stimato nel 2017 (1665,24 milioni di euro). Un aumento significativo che è stato determinante nel contribuire al raggiungimento dell’obiettivo dello 0.30% del rapporto APS/RNL nel 2017, ovvero con tre anni di anticipo. Ricordiamo che la stima del 2017   del rapporto APS/RNL al netto della spesa in accoglienza è dello 0.20% (0.29%). È importante ribadire che consideriamo di primaria importanza che l’Italia stanzi risorse adeguate dal punto di vista sia quantitativo sia qualitativo alla prima accoglienza. Tuttavia, l’aiuto pubblico allo sviluppo dovrebbe servire per promuovere la lotta alla povertà e lo sviluppo dei Paesi più poveri; per questo motivo  l’aumento dell’impegno italiano nella lotta alla povertà e alle diseguaglianze globali andrebbe misurato al netto della spesa in accoglienza che, come sappiamo, pur rispondendo a obblighi internazionali e valori fondamentali, non è tuttavia diretta alla promozione dello sviluppo nei Paesi terzi.

Per quanto riguarda l’anno in corso, due fattori suggeriscono una probabile significativa diminuzione della componente di spesa in accoglienza sul totale dell’APS. Da un lato, la razionalizzazione operata in ambito OECD/DAC delle spese eleggibili, che verrà adottata a partire dal 2018; dall’altro, la riduzione significativa del numero di sbarchi sulle coste italiane avvenuti quest’anno. A meno di uno stanziamento significativo di risorse aggiuntive, che ci auguriamo, il 2018 registrerà probabilmente un arretramento del rapporto APS/RNL piuttosto che un ulteriore crescita verso il nuovo obiettivo del 2019 dello 0.33%.

In secondo luogo, al di là dei numeri, a preoccupare c’è anche la tendenza da parte dei Paesi donatori, Italia in primis, ad utilizzare le risorse di APS per obiettivi di contenimento dei flussi migratori dai Paesi di origine e transito. Ci riferiamo in particolare al Fondo Africa, lanciato nel 2017 dal Governo Gentiloni con uno stanziamento di 200 milioni di euro e rinnovato l’anno successivo con 135 milioni di euro (di cui 55 milioni di avanzo del 2017). Come l’EU Emergency Trust fund Europeo, il Fondo Africa serve a contribuire all’implementazione della nuova Agenda Europea per le Migrazioni. L’obiettivo è il contrasto alle cosiddette migrazioni irregolari, sia attraverso il rafforzamento delle capacità dei Paesi di origine e transito di fermare i flussi migratori, sia intervenendo sulle cosiddette “cause profonde” delle migrazioni. Attraverso questa strategia e questi strumenti, purtroppo caratterizzati da una scarsa trasparenza, quote significative di risorse pubbliche vengono destinate ad attività per il controllo dei flussi quali il finanziamento di motovedette, equipaggiamenti militari per il pattugliamento, dispositivi di rafforzamento delle frontiere e la creazione di unità di guardia. Altre sono destinate a interventi di sviluppo sulle cause profonde delle migrazioni senza tuttavia la presenza di una chiara strategia di impatto con conseguenze negative sull’efficacia di queste risorse.

La cooperazione non può essere utilizzata come strumento di politica estera per perseguire fini che non siano quelli di sviluppo e della promozione dei diritti umani. Inoltre, la retorica della “cause profonde” comunica un messaggio sbagliato: che le migrazioni siano un problema di sviluppo. In realtà esse rappresentano spesso una risposta ai problemi causati da uno sviluppo diseguale, laddove le politiche non arrivano a intervenire. Per questo, la cooperazione allo sviluppo non deve fermare i flussi, ma aiutare a massimizzare gli impatti positivi delle migrazioni sullo sviluppo, minimizzandone i rischi.

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