Sindacati e società civile uniti contro il rischio di deregulation: no all’Omnibus sulla due diligence
Appello agli eurodeputati italiani: difendere lavoro, tessuto industriale e ambiente contro il pacchetto di semplificazione UE
Si è svolto ieri al Parlamento europeo l’incontro Revisione direttiva due diligence: semplificazione o deregolamentazione?, organizzato dall’Ufficio europeo della CGIL con le campagne italiane Abiti Puliti e Impresa2030. Un appuntamento fortemente voluto per sottolineare che la revisione della direttiva non può tradursi in un via libera allo smantellamento delle tutele per lavoratori, comunità e ambiente lungo le catene globali del valore.
All’incontro hanno preso parte Ornella Cilona (CGIL), Cristiano Maugeri (ActionAid e co-portavoce Campagna Impresa 2030), Deborah Lucchetti (Campagna Abiti Puliti), Andrea Mone (CISL) e gli europarlamentari Brando Benifei – promotore dell’evento – Irene Tinagli (Partito Democratico), Mario Furore (Movimento 5 Stelle), Cristina Guarda (Europa Verde).
La discussione è diventata urgente in vista dell’imminente voto di ottobre della commissione JURI, competente sul dossier, e del successivo voto in plenaria dell’Europarlamento, per richiamare l’attenzione degli europarlamentari italiani sui rischi legati alle modifiche Omnibus al pacchetto UE sulla sostenibilità.
Le proposte, presentate come “semplificazione”, riducono in realtà le tutele per lavoratrici, lavoratori e PMI nelle filiere globali, indebolendo la due diligence e la rendicontazione di sostenibilità. Un intervento che favorisce le politiche di competitività dei grandi gruppi industriali e finanziari, scaricando i costi sociali e ambientali sulle comunità e ampliando le disuguaglianze.
Durante l’iniziativa sono stati presentati i risultati del sondaggio condotto da SWG e promosso da WeWorld e Manitese insieme a Impresa2030 e l’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) sul ruolo delle imprese per la tutela dei diritti umani e ambientali.
L’85% della popolazione italiana maggiorenne dichiara che le grandi imprese europee e quelle di altri paesi che esportano nel mercato europeo devono essere obbligate per legge a prevenire i danni causati dalle loro attività a persone, ambiente e clima, anche se questo comporta per loro dei costi in più. L’84% chiede che le grandi aziende siano responsabili dei danni causati dai loro prodotti o servizi lungo tutta la catena del valore e il 79% che le grandi aziende siano obbligate a fare piani per ridurre le emissioni di CO₂. Inoltre, solo 1 persona su 3 in Italia pensa che i governi facciano abbastanza per limitare l’impatto negativo delle grandi aziende sui diritti umani e clima.
Emerge inoltre un’idea chiara di competitività: 3 italiani su 4 affermano che non può esserci competitività senza tutela dei diritti umani, dell’ambiente e senza contrasto al cambiamento climatico.
Le dichiarazioni
Ornella Cilona (CGIL) ha aperto la discussione, sottolineando il rimaneggiamento del testo della direttiva due diligence e la riduzione del ruolo di sindacati e società civile. «Le modifiche proposte dalla Commissione europea alla direttiva in materia di due diligence non rispondono, a giudizio della CGIL, all’esigenza di una semplificazione ma costituiscono un rilevante rimaneggiamento del testo, ridimensionando il ruolo dei sindacati e della società civile e vanificando il contributo apportato dal Parlamento UE in fase di approvazione della direttiva».
«Fino ad oggi la Direttiva Due diligence è stata trattata come un argomento tecnico. Eppure si tratta di una norma indispensabile per tutelare i diritti e l’ambiente – sostiene Cristiano Maugeri di ActionAid e co-portavoce della Campagna Impresa 2030 -. Quello che ci viene venduto come semplificazione con la procedura Omnibus, altro non è che un tentativo di assecondare le ambizioni di un modello estrattivista che, non solo i cittadini e le cittadine non vogliono più, ma non possiamo più permetterci. Per questo ci opponiamo e continuiamo a chiedere politiche giuste per la società e l’ambiente».
«Se il pacchetto Omnibus passasse, tornerebbero ad affacciarsi scenari già visti» – avverte Deborah Lucchetti, coordinatrice nazionale della Campagna Abiti Puliti. «Un nuovo Rana Plaza sarebbe possibile perché molte aziende coinvolte allora resterebbero oggi escluse dalla direttiva a causa della loro “dimensione troppo piccola”. Le inchieste sul caporalato, come quelle condotte dalla procura di Milano sui casi Armani, Alviero Martini, Valentino, Dior e Loro Piana, mostrerebbero di nuovo lo stesso sistema di sfruttamento, in cui la subfornitura viene scientemente usata dai grandi marchi del lusso per massimizzare i profitti, scaricando i costi sociali sui lavoratori più vulnerabili, in particolare donne e migranti. A pagare sarebbero ancora loro, insieme alle piccole e medie imprese, che continuerebbero a sostenere il peso della sostenibilità senza avere sostegni, strumenti né tutele, mentre i grandi committenti resterebbero esonerati dalle proprie responsabilità».
Dal lato delle istituzioni europee, gli europarlamentari hanno richiamato l’attenzione sui rischi insiti nella proposta Omnibus.
Brando Benifei (Partito Democratico), promotore dell’evento, ha sottolineato l’importanza del confronto tra Parlamento e associazioni: «Nella scorsa legislatura abbiamo conquistato un’importante direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale, già allora frutto di compromessi. Il pacchetto Omnibus la smantella, privandola di tutti i traguardi raggiunti su diritti umani e ambiente. Per questo oggi è cruciale il confronto strutturato e continuo con associazioni, campagne e sindacati per denunciare e porre rimedio a una dilagante deregolamentazione che danneggia lavoratori, cittadini e imprese. Il Parlamento europeo sarà presto chiamato a votare: dobbiamo lavorare affinché non vengano approvati testi vuoti, privi di misure serie e vincolanti sulla sostenibilità delle imprese».
Per l’On. Mario Furore (Movimento 5 Stelle) «dietro lo slogan dei “meno costi e meno burocrazia” l’Omnibus I nasconde un probabile passo indietro: indebolisce la protezione dei lavoratori, penalizza le PMI e mina la credibilità dell’Europa sulla sostenibilità. La semplificazione è necessaria, ma non può trasformarsi in deregolamentazione».
L’On. Irene Tinagli (Partito Democratico) ha evidenziato la necessità di difendere i progressi già compiuti: «Non possiamo permetterci passi indietro sugli obiettivi ambientali e sociali, sui nostri risultati in termini di difesa del lavoro e dei diritti dei lavoratori, vanificando gli investimenti e gli sforzi che sono già stati sostenuti. Per questo, pur condividendo i principi generali della semplificazione, ci impegniamo perché la semplificazione non diventi un alibi, una maschera per nascondere in realtà una deregolamentazione che vada ad intaccare quanto costruito in questi anni per la protezione dell’ambiente e dei lavoratori».
L’On. Cristina Guarda (Verdi/ALE) ha inquadrato la sfida come uno scontro tra visioni contrapposte di sviluppo: «Dietro lo slogan della “semplificazione” si nasconde l’assalto alla diligenza delle grandi aziende, che vedono nuove opportunità di lucro nelle crisi globali che travolgono le persone comuni. In questa partita ci sono due blocchi di interessi contrapposti: da un lato le multinazionali e la parte obsoleta del sistema industriale europeo; dall’altro i settori dell’innovazione, le piccole aziende, l’ambiente, le lavoratrici e i lavoratori, i cittadini europei che chiedono stabilità normativa, maggiore responsabilità d’impresa e scelte coraggiose come il Green Deal. Le forze conservatrici hanno scelto di rappresentare il primo blocco, noi vogliamo difendere il secondo: un’alleanza inedita, sociale ed economica, ancora prima che politica».
Infine, Enrico Giovannini, co-fondatore e Direttore scientifico di ASviS, ha evidenziato il valore della direttiva per un’economia sostenibile, fornendo un contributo tecnico-scientifico alla discussione: «Le riforme all’insegna di una semplificazione che in realtà attacca la trasformazione verso un sistema economico sostenibile sono frutto di un approccio ideologico non supportato dai dati. Infatti, i dati mostrano che le imprese che investono in sostenibilità aumentano la competitività e la produttività. Con le nuove tecnologie – pensiamo ad esempio all’economia circolare – è fondamentale assicurare l’integrità delle filiere in termini di impatto ambientale e di rispetto dei diritti umani. Ecco perché snaturare la direttiva sulla due diligence sarebbe un errore».
Le prossime settimane saranno decisive: l’Europarlamento voterà in plenaria la propria posizione a fine ottobre. Si aprirà poi la fase di negoziazione con il Consiglio europeo su un testo finale, previsto per l’inizio del 2026. Il dossier avanza spedito, ma l’urgenza non è l’Omnibus: è una transizione giusta, climatica e sociale. Per questo le campagne Impresa 2030 e Abiti Puliti, insieme alla CGIL, hanno voluto chiedere con forza agli eurodeputati e alle eurodeputate di respingere le proposte Omnibus e difendere una normativa approvata dopo un lungo processo democratico che protegge persone, ambiente e favorisce lo sviluppo di imprese sostenibili.
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