Il decreto Albania approvato alla Camera: una legge fuori dalla legalità. Gli elementi raccolti sul campo lo dimostrano.
Con l’approvazione alla Camera dei Deputati del cosiddetto “decreto Albania”, che verrà convertito definitivamente in legge dopo il passaggio al Senato, il Parlamento legittima il sistema di confinamento extraterritoriale delle persone migranti. Un sistema che, come dimostrano i riscontri raccolti dal monitoraggio effettuato da varie delegazioni del Tavolo Asilo e Immigrazione in Albania, è opaco, privo di garanzie e incompatibile con i principi dello Stato di diritto.
Una delegazione del Tavolo Asilo e Immigrazione è attualmente a Gjadër, in collaborazione con alcune e alcuni parlamentari del gruppo di contatto
Informazioni basilari, come i numeri delle persone trattenute e di quelle riportate in Italia, sono state negate dalle autorità italiane. Rimangono sconosciuti anche i criteri con cui vengono selezionate le persone da trasferire, nella continua assenza di provvedimenti ufficiali di trasferimento.
I colloqui avuti con alcune delle persone trattenute confermano elementi inquietanti: nessuno era stato informato preventivamente del trasferimento e nessuno ha un provvedimento che lo disponga. Le persone sono state prelevate all’improvviso dai CPR in Italia e condotte al porto di Brindisi. Tutte hanno raccontato di aver viaggiato con fascette di plastica ai polsi, rimosse solo poco prima dello sbarco al porto di Shengjin, e quindi fuori dallo sguardo dei media. Le persone ascoltate in questi giorni hanno anche raccontato di frequenti tensioni all’interno del centro e di atti di autolesionismo, con il numero di eventi critici – cioè situazioni in cui è a rischio l’incolumità delle persone trattenute – arrivato a 42 in 34 giorni.
La violenza simbolica e materiale di questo sistema è aggravata dal fatto che molte di queste persone vivono in Italia da tempo: tra le persone ascoltate, c’è chi ha figli e coniugi sul territorio italiano, chi ha lavorato per anni in Italia perdendo il documento in seguito alla perdita di impiego. Sono diverse, inoltre, le persone sopravvissute a gravi violenze avvenute durante il percorso migratorio, che presentano dunque un alto profilo di vulnerabilità. Nei loro racconti emergono parole di smarrimento e paura: «qui si perde la testa», «mi sembra di stare in un canile», «che fine faremo?».
A confermare la fragilità giuridica del progetto, inutilmente afflittivo, è arrivata, in queste stesse ore, la decisione del Giudice di pace di Roma, che ha ordinato la liberazione di un cittadino trattenuto a Gjader, e ha sollevato alcune rilevanti questioni che hanno a che fare con la legittimità costituzionale del trattenimento nei CPR, rilevando che manca un vero controllo di legalità fondato su diritti e norme uniformi, come invece previsto per altri regimi detentivi, sulle quali si pronuncerà la Consulta.
Alla luce di quanto raccolto, il TAI ritiene che l’intera operazione Albania rappresenti una sospensione della legalità, oltre che una violazione dei diritti fondamentali: il tutto dietro la retorica di facilitare i rimpatri, cosa su cui comunque il Protocollo non incide e che comunque vanno realizzati dall’Italia, in un meccanismo di trasferimento con ingenti e ingiustificati costi economici. Il Tavolo Asilo e Immigrazione continuerà a monitorare e documentare la situazione presente, evidenziando anche le grosse difficoltà di controllo insite in un progetto extraterritoriale quale è quello del Protocollo. Le numerose criticità più volte evidenziate sottolineano ancora una volta che non c’è alternativa alla totale dismissione del progetto.
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