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«Rriceviamo più di 500 pazienti al giorno. Ma lavoriamo solo al 50% della capacità. Due sale operatorie e due reparti sono fuori uso. E la situazione continua a peggiorare». 

Questi  erano i numeri dell’ospedale di Al-Awda a Gaza, nel nord della Striscia di Gaza. A febbraio il dottor Mohammed Salha era direttore ad interim. Per mesi ha guidato, insieme al nostro partner locale, la resistenza quotidiana di un ospedale sotto assedio. Per mesi, Al-Awda è rimasto l’unico presidio sanitario attivo nel nord di Gaza, dopo che gli ospedali Kamal Adwan e Indonesiano sono stati messi fuori servizio. 

Come ActionAid, siamo stati al fianco del nostro partner locale che gestisce Al-Awda sin dalle prime fasi dell’emergenza. Abbiamo raccontato la forza di questo ospedale sotto assedio, assediato per tre volte dalle forze israeliane durante questi quasi due anni di guerra, privato di carburante, farmaci, personale e ambulanze. Abbiamo continuato a sostenerlo ogni giorno, finché è stato possibile. 

Oggi, l’ospedale Al-Awda non è più operativo. Non riceve pazienti, non esegue interventi, non può salvare vite. A fine maggio un nuovo bombardamento ha distrutto i serbatoi di acqua e il reparto di chirurgia.  

Il Dottor Mohammed Salha racconta la situazione drammatica che hanno vissuto:  

«Abbiamo affrontato tre assedi militari: a dicembre 2023, a maggio 2024 e da ottobre 2024 a gennaio 2025. L’ultimo è durato 106 giorni. Donne incinte venivano colpite mentre provavano a raggiungerci. Una nostra ambulanza è stata presa di mira: sono morte due donne. Solo il neonato si è salvato». 

Per mesi abbiamo sostenuto il dottor Salha e il suo team. Abbiamo fornito carburante, farmaci, supporto psicologico. Abbiamo contribuito a costruire tende per lo staff e le loro famiglie, creato spazi sicuri, distribuito pacchi alimentari. Ma dall’inizio di giugno, a causa dei bombardamenti e del blocco umanitario, l’ospedale non ha più potuto operare. 

«L’ospedale era famoso per i servizi per la maternità. Ogni giorno ricevevamo 80-100 donne. Ora non possiamo più assisterle. Il nostro chirurgo ortopedico è stato arrestato. Manca personale, manca ossigeno, manca tutto». 

Il sistema sanitario a Gaza è stato distrutto. Nessun centro di cure primarie è rimasto attivo nel nord. «Stiamo cercando di aprire un nuovo centro nel campo di Jabalia, ma servono risorse, carburante, sicurezza. Le persone qui vivono nel disastro. Nessuno si prende cura di loro». 

Oggi raccontiamo questa storia non solo per informare, ma per non lasciar cadere nel silenzio l’abbandono di un intero territorio. Il dottor Salha continua a lavorare con quel che resta del suo team, tra le macerie e la paura. Ma da solo non può farcela. 

Aiutaci a non spegnere le ultime luci dell’assistenza sanitaria a Gaza.

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