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Accoglienza profughi: servono servizi di integrazione | ActionAid Accoglienza profughi: servono servizi di integrazione | ActionAid

Accoglienza profughi: servono servizi di integrazione

Gestione emergenziale sia temporanea. Attenzione a trasparenza e diritti umani.

Piano di accoglienza

Il piano di accoglienza per i profughi e le profughe ucraini che il Governo sta predisponendo in questi giorni ha ancora molti punti da chiarire sulla sua gestione e organizzazione.

Noi di ActionAid insieme a Openpolis attraverso la piattaforma online  Centri d’Italia monitoriamo il funzionamento del sistema di accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo in Italia e da anni denuncia la scarsa trasparenza e le criticità del circuito straordinario dei CAS.  
“Nonostante l’esigenza di attivare strutture straordinarie in una fase di emergenza, è necessario valorizzare il sistema dei centri SAI (sistema di accoglienza per l’integrazione), in capo ai Comuni. Per l’enorme flusso di persone, in gran parte donne con bambini, in fuga dalla guerra e già arrivati in Italia, si deve prevedere che il collocamento nei CAS sia temporaneo (come gli stessi centri), che si punti sull’allargamento del sistema SAI e su forme di microaccoglienza diffusa con servizi e standard adeguati a tutela dei diritti e della dignità di chi è accolto, e che si predisponga anche l’attivazione di centri CAS con caratteristiche tali da poter passare nel sistema pubblico ordinario” dichiara Fabrizio Coresi, nostro Esperto Migrazioni

Lo studio sui Centri d’Italia

L’analisi dei dati rivela che tra il 2018 e il 2020, periodo di esecuzione dei Decreti Sicurezza, si è scelto di tagliare in media del 25% il costo giornaliero per persona nel sistema CAS, vale a dire riduzione dei servizi di integrazione offerti (mediazione linguistica e culturale, assistenza legale e psicologica). Con l’incentivo alla gestione di soggetti for profit si è verificata di fatto una perdita di competenze. La chiusura di molte strutture ha coinciso con la tendenza a concentrare le persone assistite nei centri più grandi. Le chiusure che hanno interessato, infatti in particolare, i centri più piccoli, vale a dire appartamenti e strutture abitative con capienza inferiore a 50 posti. Sono difatti oltre 21.000 i posti persi nei centri di piccole dimensioni tra il 2018 ed il 2020. Nella provincia di Milano, area in cui si concentrano 3 dei centri di maggiori dimensioni (fino a 300 ospiti) presenti in Italia, la riduzione dell’importo corrisposto per ospite al giorno è stata del 45%. Dei 220 centri CAS attivi nel 2018, alla fine del 2020 a Milano ne erano rimasti 37. Nella provincia di Napoli invece, il calo dei costi giornalieri è stato del 22% e le strutture CAS attive al 31 dicembre 2020 erano 2.060 contro le 3.759 del 2018.  

La situazione attuale

Accanto alle strutture predisposte dalle istituzioni, si moltiplicano le offerte di accoglienza privata della cittadinanza. È uno sforzo da sostenere e organizzare con il supporto delle istituzioni, in modo che per ciascuna delle persone accolte sia garantito un puntuale orientamento ai diritti e ogni misura di sostegno necessaria, anche al di là delle competenze e delle possibilità, anche economiche, di chi ospita. Questo può avvenire attivando forme di “accoglienza esterna” già previste nel sistema SAI, e comunque spendibili anche dalle Prefetture, evitando di ricorrere a grandi concentrazioni che abbiamo rilevato essere spesso lesive dei diritti e della dignità delle persone accolte. 

È per questo che oltre ad un’accoglienza dignitosa, con specifica attenzione ai bisogni di donne e bambini, deve essere garantita la necessaria trasparenza che consenta alla società civile un monitoraggio di quanto verrà predisposto, antidoto al business sulle spalle dell’accoglienza e alla criminalizzazione della solidarietà. 

Attenzione alle discriminazioni

Ulteriori dubbi suscita la condizione giuridica delle persone in transito dall’Ucraina. La decisione del Consiglio dell’Unione europea di riconoscere la protezione temporanea con l’attivazione della Direttiva 2001/55/CE è una risposta tempestiva e importante, ma rischia di risultare discriminatoria.  

Dal confine con la Polonia arrivano immagini inaccettabili: centinaia di donne e uomini di nazionalità non ucraina che subiscono violenze e trattamenti differenziati.  

Il meccanismo predisposto con la protezione temporanea garantisce uno status sicuro ai cittadini ucraini e invece pone molte più condizioni e incertezza nei confronti di chi, pur fuggendo dall’Ucraina, ha la cittadinanza di un altro stato non europeo. Il governo italiano darà attuazione di questa direttiva con l’emanazione di un DPCM. È l’occasione giusta per garantire che un adeguato livello di protezione venga esteso a tutte le donne, uomini e minori che sono costretti a lasciare il paese, incluse quelle di cittadinanze diverse da quella ucraina. 

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