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La crisi climatica non si combatte a parole  | ActionAid La crisi climatica non si combatte a parole  | ActionAid

La crisi climatica non si combatte a parole 

Il report di ActionAid mette in luce le incoerenze dell’Unione Europea.

Vogliamo i fatti, non parole

La crisi climatica non può essere sconfitta a parole, servono passi avanti concreti e buone pratiche da seguire. Quello a cui stiamo però assistendo in questi giorni a COP28 è un esempio di come le promesse fatte dai Paesi più sviluppati spesso non si accompagnino a un serio piano di azione verso una transizione verde, giusta e sostenibile. 

Sotto la lente di ActionAid l’Unione Europea, che alla Conferenza di Dubai chiede con forza l’attuazione dell’articolo 2.1c dell'Accordo di Parigi per rendere "i finanziamenti coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas serra e uno sviluppo clima-resiliente", mentre ancora con le proprie banche contribuisce a finanziare il settore delle fossili. 

È questo ciò che fotografa il nuovo rapporto di ActionAid "European Finance Flows fuelling the climate crisis" presentato oggi: mentre l’UE chiede agli altri Paesi di finanziare la lotta alla crisi climatica, dall’Accordo di Parigi nel 2015 ha investito attraverso le sue principali banche commerciali una media di 40,2 miliardi di euro all’anno - 281 miliardi di euro complessivamente - proprio per finanziare i combustibili fossili e l’agribusiness nei Paesi del Global South.  

Si tratta di una cifra che supera di oltre 4 volte gli investimenti volti a combattere la crisi climatica, che ammontano appena a 11,26 miliardi di dollari (9,7 miliardi di euro) all’anno se prendiamo in considerazione solo le sovvenzioni a fondo perduto e non i prestiti e le garanzie. 

"I flussi finanziari globali si muovono nella direzione sbagliata. Le banche spesso affermano di voler affrontare il problema del cambiamento climatico, ma il loro continuo finanziamento dei combustibili fossili e dell'agricoltura industriale sta condannando le comunità in Africa, Asia e America Latina alla crudele combinazione di mancanza di terra, deforestazione, inquinamento delle acque e cambiamento climatico. I flussi finanziari europei sono una parte importante del problema del pianeta, in quanto convogliano molti più fondi verso le cause del cambiamento climatico nel Sud del mondo che verso le soluzioni. La COP28 dovrebbe produrre uno stimolo fondamentale per riorientare i flussi finanziari che danneggiano il clima del pianeta. Dobbiamo regolare i flussi finanziari privati che risultano dannosi e incrementare allo stesso tempo i finanziamenti pubblici per le soluzioni alla sfida del clima che cambia” ha commentato Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International e autrice del rapporto.  

Le banche italiane ed europee più inquinanti e il caso ENI 

Tra gli istituti finanziari europei che in questi anni hanno contribuito maggiormente a finanziare la crisi climatica le due principali banche italiane, UniCredit e Intesa Sanpaolo rispettivamente con 18,40 e 11,95 miliardi di dollari. In cima alla “classifica” stilata nel report c’è BNP Paribas con 49,55 miliardi di dollari, seguita da Société Générale (41,7 miliardi di dollari) e Crédit Agricole (37,57 miliardi di dollari) e ING Group (21,14 miliardi di dollari).  

Come mostra il report, le banche europee finanziano in modo diretto numerosi progetti ad alto impatto climatico, alcuni dei quali sono chiamati carbon bombs o “bombe di carbonio", una definizione che non lascia spazio al dubbio sugli effetti sul Pianeta. 

Deutsche Bank finanzia direttamente e indirettamente ben 83 “bombe di carbonio” con un potenziale di emissioni stimato in 272,3 GtCO2, mentre BNP Paribas ne finanzia, direttamente o indirettamente, 59, con un potenziale di emissioni stimato in 216,9 GtCO2.  

Anche Eni, il noto “colosso” italiano del gas e petrolio è foraggiata dalle banche europee e ha ricevuto dal 2016 al 2022 ben 4,01 miliardi di dollari da UniCredit, da Intesa Sanpaolo 3,45 miliardi di dollari, 3,19 da BNP Paribas e 3,03 miliardi da Crédit Agricole. L’azienda ha più volte proclamato il suo impegno ad essere “carbon neutral” entro il 2050, ma anche qui alle parole non seguono fatti: Eni continua, infatti, a dare priorità a investimenti in combustibili fossili ed è al momento reponsabile di una vera e propria "corsa al gas" in tutto il continente africano e in particolare in Egitto, Mozambico, Angola e Libia.  

Commenta Marco De Ponte, Segretario Generale ActionAid Italia “I finanziamenti che le banche europee continuano a indirizzare verso progetti altamente dannosi per l’ambiente e i diritti umani sono in aperto contrasto con la strategia di medio periodo contenuta all’interno dell’art. 2.1c dell’Accordo di Parigi, che chiede che i flussi finanziari siano coerenti con uno sviluppo a basse emissioni. Vanno colte tutte le opportunità che permettano di costruire un percorso coerente. L’inclusione del settore finanziario all’interno della direttiva in materia di diritti umani e ambiente (CSDDD), ad esempio, rappresenta un’opportunità unica. Alcuni paesi però, guidati dalla Francia, stanno facendo pressione per escludere la finanza dalla direttiva. ActionAid chiede al governo italiano di sostenere l’inclusione del settore finanziario all’interno della direttiva e a tutte le banche di esprimersi pubblicamente in questa direzione. Chiediamo altresì al governo, nell’ambito della COP28 di Dubai, di dare ampio seguito al mandato del Parlamento, facendosi promotore di iniziative e impegni che favoriscano una riforma del sistema della finanza internazionale che ponga tutti i paesi in condizione di avere accesso a volumi di capitale adeguati per una transizione energetica a zero emissioni e per la resilienza delle economie contro i crescenti impatti climatici”. 

Aiutaci a fermare l'emergenza climatica adesso!

Photocredit header e social: ©Wang Dongzhen /eyevine/Contrasto

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