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Ora decidiamo noi

Cambiare l’Italia a partire dalla scuola.

Praticare democrazia a scuola significa riconoscere la voce e il potenziale trasformativo di studentesse e studenti

La partecipazione non è solo una parola o un metodo, è un diritto e lo è per tutt*, a prescindere dalla maggiore età che decreta ufficialmente il diritto al voto. A livello nazionale e internazionale, non manca il riconoscimento della partecipazione giovanile come elemento imprescindibile al fine della tutela di ogni loro diritto. È stata la Convenzione Onu sui diritti dell’Infanzia e Adolescenza a sancire per la prima volta nel 1989, con gli articoli 12 e 15, il diritto dei e delle minori a essere ascoltati, di far sentire la propria voce per le questioni che li riguardano, nonché di aver libertà di associazione.

In Italia il diritto alla partecipazione è sancito dalla Costituzione, come principio fondante e trasversale. In particolare, essendo l’istruzione un diritto fondamentale, la scuola è considerata il primo luogo istituzionale inteso come “palestra di democrazia”.
È pertanto riconosciuto e costituzionalmente tutelato, il ruolo prioritario della scuola nella formazione e nella promozione di una cittadinanza attiva e proattiva, partecipante e partecipata, responsabile a livello individuale e collettivo, in dialogo con le famiglie e le comunità educanti.

Come indicato anche nello  Statuto delle Studentesse e degli Studenti, approvato nel 1998 grazie alle mobilitazioni e rivendicazioni dei movimenti studenteschi,  “Lo studente ha diritto alla partecipazione attiva e responsabile alla vita della scuola. I dirigenti scolastici e i docenti, con le modalità previste dal regolamento di istituto, attivano con gli studenti un dialogo costruttivo sulle scelte di loro competenza in tema di programmazione e definizione degli obiettivi didattici, di organizzazione della scuola, di criteri di valutazione, di scelta dei libri e del materiale didattico”.

La partecipazione di studentesse e studenti rispetto alle scelte che li riguardano in prima persona si fonda sulla consapevolezza che la scuola debba rendere ciascuno e ciascuna cittadino/a, e che proprio nella partecipazione la cittadinanza abbia le sue radici: studenti e studentesse, quindi, che abbiano tanto gli strumenti quanto gli spazi per intervenire nelle scelte e siano liberi di farlo perché dotati di autonomia, consapevolezza e potere; che considerino la scuola come qualcosa che appartiene loro, poiché avranno avuto la possibilità di modellarla anche secondo le loro esigenze e volontà.

La partecipazione alla co-costruzione dello spazio scolastico e il rafforzamento di una cultura democratica a scuola sono alcuni fra gli strumenti necessari a combattere i problemi ed i limiti del sistema scolastico su cui le disuguaglianze educative si fondano. Lo scoppio della pandemia e la chiusura delle scuole hanno infatti evidenziato le carenze strutturali del sistema scolastico già esistenti, anche per quanto riguarda gli strumenti di partecipazione e rappresentanza studentesca.

Dall’indagine “Gli studenti e la partecipazione”, condotta da IPSOS per ActionAid in collaborazione con Unione degli Studenti a settembre del 2021 emerge che già prima dell’emergenza sanitaria, nel 45% dei casi le assemblee di classe venivano indette poche volte l’anno o mai, e con la chiusura delle scuole le opportunità di assemblea si sono ulteriormente ridotte: il 38% delle classi non ha organizzato assemblee online, mentre il 40% ha continuato seppur in misura minore rispetto a prima. Se si guarda alle assemblee di istituto il dato è ancora più preoccupante: se prima della pandemia nella metà dei casi venivano svolte poche volte l’anno o mai, con la pandemia il 42% degli studenti ha smesso, mentre nel 38% dei casi sono proseguite ma in misura ridotta. Dati più bassi risultano in particolare in Istituti tecnici, ma ancora più nei professionali. 

Questo si inserisce in un quadro più ampio di crisi della partecipazione e rappresentanza studentesca, con il ruolo di rappresentante che è spesso svalutato e visto in maniera riduttiva. A livello di classe per esempio l’inferiorità numerica dei rappresentanti rispetto ai professori nel consiglio di classe e il generale senso di inferiorità percepito dagli studenti di fronte all’autorità dei docenti causa, di fatto, la riduzione delle responsabilità dei rappresentanti a semplici portavoce di richieste ai singoli docenti (richieste che poi non sono sempre accettate).

Anche a livello di istituto la situazione è problematica: secondo quanto ci dicono studentesse e studenti, i rappresentanti avrebbero anche il potenziale per ottenere ruoli di responsabilità maggiore rispetto ai compiti strettamente previsti dalla legge, se la dirigenza scolastica lo prevede, ad esempio aiutando a scrivere i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento), ma in molte scuole ciò non accade per diverse ragioni. La prima riguarda la netta inferiorità numerica nel consiglio d’istituto, che causa degli squilibri di potere tra docenti, dirigenza e studenti. Allo stesso modo, non vi è alcuna rappresentanza all’interno del collegio docenti, organo che decide in merito alle questioni inerenti alla didattica e l’offerta formativa. Questo scarso potere di rappresentanza è ancora più evidente negli istituti in cui sono presenti più indirizzi, che possono non ricevere rappresentanza paritaria in quanto gli studenti elette possono far parte di un solo indirizzo. La seconda ragione è che, spesso, i rappresentanti interpretano in maniera riduttiva il proprio ruolo

Per favorire la partecipazione reale e non manipolata e l’empowerment di studentesse e studenti è fondamentale, oltre alla tutela degli strumenti di partecipazione e rappresentanza studentesca previsti dalla normativa e non (come per esempio, l’istituzione di Commissioni Paritetiche) mettere in campo metodologie attive e partecipative. La didattica, quando impostata in maniera frontale e nozionistica, non favorisce infatti lo sviluppo di uno spirito critico degli studenti, relegati al ruolo passivo di spettatori senza poter incidere realmente sul processo educativo che li coinvolge in prima persona. È ciò aggrava il rischio di allontanamento dello studente dalla scuola e dai processi educativi.

Praticare la democrazia a scuola ogni giorno significa riconoscere il potenziale trasformativo e la voce dei e delle giovani non solo nei momenti di partecipazione previsti dalla normativa ma trasversalmente alle diverse discipline affrontate così come ai progetti implementati a scuola in collaborazione con la comunità educante di riferimento.

Anche l’esperienza sul campo di ActionAid conferma che un approccio partecipativo nella formazione dei modelli formati è in grado di ricucire il tessuto sociale che lega scuola, territorio e comunità mediante la co-creazione di nuovi spazi partecipati e la promozione di azioni e attività che facciano sentire gli studenti e le studentesse parte della scuola.

Di queste istanze si devono necessariamente far carico le istituzioni, ascoltando la voce degli studenti e delle studentesse che non devono essere oggetti, semplici beneficiari, del processo formativo ma ne devono essere, invece, soggetti attivi e motore principale.

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