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COP30, ActionAid: “Serve un piano globale per una transizione giusta”

Meno del 3% dei fondi per il clima sostiene una transizione equa per lavoratori e comunità.
Il nuovo rapporto di ActionAid denuncia un sistema che lascia indietro le persone.

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Alla vigilia di COP30 in Brasile, dove la deforestazione e l’espansione dell’agricoltura industriale continuano a minacciare le comunità, ActionAid lancia un allarme: solo il 2,8% dei finanziamenti climatici globali sostiene una transizione giusta, ovvero politiche che garantiscano ai lavoratori, alle donne e alle comunità più vulnerabili di non essere esclusi nella lotta alla crisi climatica. L’analisi, contenuta nel nuovo rapporto Climate Finance for Just Transition: How the Finance Flows rivela un quadro preoccupante. Basandosi sui dati dei due principali fondi climatici globali – il Green Climate Fund e i Climate Investment Funds – lo studio mostra che solo un progetto su cinquanta include misure concrete per sostenere le persone e le comunità nella transizione e solo un dollaro ogni 35 dei fondi per il clima viene destinato a questo obiettivo. Serve un impegno globale e coordinato per garantire che la transizione ecologica sia davvero giusta – cioè che protegga diritti, redditi e prospettive di chi vive in prima linea la crisi climatica. Insieme ai suoi alleati, ActionAid chiede che la COP30 adotti il “Belém Action Mechanism”, uno strumento per coordinare gli sforzi globali, condividere buone pratiche e sostenere concretamente Paesi e comunità colpite dalla crisi climatica. La transizione ecologica deve andare di pari passo con la tutela dei diritti, del lavoro e della dignità.

Questa è un’opportunità cruciale per far evolvere l’azione climatica globale. Senza approcci di transizione giusta, rischiamo di creare nuove ingiustizie proprio mentre cerchiamo di risolverne altre”. sottolinea Cristiano Maugeri, responsabile per la giustizia climatica di ActionAid Italia.

Il caso del Brasile

Sarà la città brasiliana di Belém, alla foce del fiume Amazzoni, a ospitare i negoziati sul clima. Ma l’iconico ecosistema amazzonico – il più grande del mondo – è sotto attacco da parte dell’agrobusiness. Da generazioni, una comunità che vive nei pressi di Timbiras, nello stato del Maranhão, parte della regione amazzonica legale, trae il proprio sostentamento dalle noci di babassu, una varietà di palma che cresce naturalmente nella foresta e produce olio e fibre ampiamente utilizzati nell’alimentazione, nell’industria e nella cosmetica. Con l’avanzare della deforestazione, la comunità affronta crescenti pressioni da parte di agricoltori, imprenditori e politici affinché abbandoni il proprio territorio forestale per fare spazio all’espansione dell’agricoltura industriale. “Vogliono cacciarci per coltivare mais, soia o allevare bestiame. Vogliono solo appropriarsi di questa terra” racconta una raccoglitrice di noci di babassu, che ha scelto di restare anonima.

L’agricoltura è il principale motore della deforestazione in Brasile, responsabile di oltre il 97% della perdita di vegetazione nativa tra il 2019 e il 2023. Nel 2022 (ultimo anno per cui sono disponibili dati), il colosso dell’agricoltura industriale Cargill, uno dei maggiori distributori mondiali di soia, è stato ritenuto responsabile di 55.131 ettari di deforestazione dovuti all’espansione della soia in Brasile, con emissioni equivalenti a oltre 10 milioni di tonnellate di CO₂. Anche un altro gigante del settore, Bunge, è associato a 77.766 ettari di deforestazione da soia e a 10,3 milioni di tonnellate di CO₂ equivalente. La produzione di carne bovina rappresenta un fattore di deforestazione ancora più grave: nel 2020 (ultimo anno con dati disponibili), 1,38 milioni di ettari di territorio in tutto il Paese sono stati deforestati e convertiti da vegetazione nativa a pascoli o terreni agricoli.

Dopo aver rifiutato la “proposta” di poter rimanere solo su pochi ettari del loro territorio, la comunità ha subito intimidazioni. Aerei e droni hanno iniziato a spruzzare pesticidi sulla comunità, sui bambini, le abitazioni, i raccolti, le fonti d’acqua, le palme di babassu e le aree forestali. In seguito, i membri della comunità hanno iniziato a soffrire di mal di testa, nausea, dolori allo stomaco, vertigini e irritazioni cutanee. Dopo anni di resistenza e mobilitazione da parte della comunità, il municipio ha finalmente vietato, nell’ottobre 2024, l’irrorazione di pesticidi tramite aerei e droni. Tuttavia, l’impunità e la mancanza di controlli fanno sì che le irrorazioni continuino, mentre il disboscamento illegale e la deforestazione continuano ad avanzare.

 


Per informazioni: 
Ufficio Stampa ActionAid Italia

Alice Grecchi +393395030480 [email protected]   
Claudia Bruno +393311336562  [email protected]
Paola Amicucci + 393457549218 [email protected]

Photocredit social: Moses Thurania/ ActionAid

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