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Sempre più famiglie italiane non riescono a mangiare in modo sano e dignitoso 

La povertà alimentare in Italia non è più un fenomeno circoscritto alla popolazione “a rischio”. Sempre più spesso colpisce persone e famiglie che non rientrano nei parametri ufficiali di povertà, ma che comunque non riescono a garantire a sé stesse e ai propri figli un’alimentazione adeguata. 

Il nostro nuovo rapporto Fragili Equilibri, con dati relativi all’anno 2023, presenta la fotografia di un Paese in cui quasi 6 milioni di persone hanno vissuto forme di insicurezza alimentare, circa 680.000 in più rispetto all’anno precedente.  
 
Questo aumento riguarda soprattutto chi non rientra nei parametri Istat di povertà, ma sperimenta comunque una situazione di fragilità. Sono il 60% delle persone che vivono in povertà alimentare: “invisibili” perché esclusi dalle misure di sostegno pubblico, ma quotidianamente costretti a rinunce e compromessi. 

Il 2023 è stato un anno segnato da forti rincari: i prezzi dei generi alimentari sono saliti del 9,8%. Il cibo è quindi diventato per molti italiani la prima voce su cui risparmiare. Le famiglie riducono quantità, qualità, varietà. Si taglia su carne e pesce, si evitano frutta e verdura fresche, si scelgono alimenti meno costosi ma anche meno sani. E a farne le spese non è solo la salute fisica, ma anche la possibilità di vivere il cibo come momento di relazione, di cura, di appartenenza

La povertà alimentare, infatti, non è solo una questione economica. Non significa semplicemente non avere abbastanza da mangiare. Significa anche non poter scegliere cosa, come e con chi consumare un pasto. È un fenomeno multidimensionale legato a bisogni materiali, emotivi, sociali e culturali. 

Non possiamo quindi ridurre questa emergenza a un semplice problema di reddito. È una forma di esclusione che colpisce la vita quotidiana e la dignità delle persone. 

La povertà alimentare ha un volto diverso da regione a regione, ma è presente ovunque. Le situazioni più critiche si registrano nel Sud, Campania (18,4%), Puglia (21,3%), Calabria (31,7%) e Sicilia, ma anche in regioni del Nord come Lombardia (8,3%) e Veneto cresce il numero di persone in difficoltà.  

Non tutte le persone sono colpite allo stesso modo. Le fasce più esposte sono quelle che già vivono condizioni di vulnerabilità strutturale: famiglie monogenitoriali o numerose, persone che vivono in affitto, cittadini con background migratorio.  

In particolare, le donne migranti nel Sud Italia si trovano a fare i conti con un intreccio di diseguaglianze, economiche, abitative, lavorative, che rende ancora più difficile l’accesso a un’alimentazione adeguata. 

Oggi la risposta pubblica a questa emergenza è ancora frammentata e limitata a interventi assistenziali, come la distribuzione di pacchi alimentari.  

“Non basta aumentare gli aiuti” evidenzia Roberto Sensi, Responsabile Programma povertà alimentare per ActionAid Italia “Serve un sistema pubblico fondato su giustizia sociale, universalismo e partecipazione. Riconoscere il diritto a un’alimentazione adeguata significa uscire dalla logica dell’emergenza e affrontare le cause strutturali del problema. Solo così sarà possibile progettare politiche più eque, inclusive e capaci di restituire dignità e autonomia alimentare a tutte e tutti”. 

Photocredit: Stefano Pavesi/contrasto.

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